Messaggio del Parroco alla Comunità in occasione del Natale

NATALE 2021

 Augusto, Quirino e quel dannato censimento!

Non c’è proprio verso di tenere Dio fuori dalla storia! Sarebbe molto più comodo e in tanti ci hanno provato a collocarlo sulle nubi o su troni lampeggianti o comunque al di là delle vicende umane e indifferente alle scelte di uomini grandi o di semplici persone. Un Dio così non interferisce più di quel tanto; meglio averlo distante, lontano dai nostri affari e per nulla invischiato con le nostre domande più problematiche o col segreto delle nostre coscienze… Anzi: quanto più Dio è grande e in alto, tanto meno contano gli affari e gli eventi di questa terra che quindi possono essere gestiti nell’esaltazione dei nostri deliri come delle nostre bassezze.

L’imperatore Augusto (che appunto significa “alto”, “eccelso”) è l’immagine dell’uomo senza Dio o, meglio, dell’uomo che prende il posto di Dio e che governa la storia e gli eventi secondo i criteri del potere e del sopruso, di un’economia di consumo e sfruttamento e di una pace ottenuta con la sopraffazione.

Mentre il povero Quirino è il funzionario-esecutore, il cui nome crea più problemi che certezze: rappresenta la storia della burocrazia, delle leggi, delle tasse e dei tributi. È quella longa manus del potere che si insinua nei meandri della quotidianità ordinaria e a cui non può sfuggire nessuno dei sudditi o dei cittadini che ossequienti e timorosi, obbediscono, subiscono, sopportano, si rassegnano.

E poi c’è quel dannato censimento che pare essere messo lì apposta per persuaderci che ciò che conta, ciò che è importante e ciò che addirittura possa piegare i progetti di Dio sia proprio quell’evento, tale da obbligare tutti a mettersi in cammino per un obiettivo ben diverso e distante dagli orizzonti di Dio!

Tutto insomma pare concorde nel convincerci che una storia e una cultura senza Dio sono ormai un dato di fatto e che l’indifferenza, le apparenze e le mode sono l’espressione di una superficialità che, appunto, rimane in superficie glissando astutamente la domanda che interpella il Mistero e che lacera il cuore e l’intelligenza.

Ci sono bastati due anni di pandemia per azzerare decenni di esperienze, di riflessioni, di teologia e di pensiero critico. Abbiamo le chiese svuotate e nessuna domanda di senso; abbiamo i più giovani inerti e nessun anelito educativo; abbiamo gli anziani scartati e nessuna saggezza diffusa; abbiamo ancora il dolore e la sofferenza, ma senza alcun grido che squarci il cielo; ci è rimasta la morte, ma che è peggio di un mostruoso anestetico che neppure più ci scandalizza!

Due anni di pandemia e si sono ben evidenziate le motivazioni fragili che supportavano la nostra religiosità; due anni di pandemia e le maschere dell’apparente perbenismo cristiano sono finalmente cadute; due anni di pandemia e le falsità della religione civile a cui il cristianesimo era stato ridotto, si sono esplicitate in tutta la loro contraddittorietà e incongruenza…

Benedetto virus che, come quel dannato censimento, ha messo il dito su una piaga religiosa ormai in cancrena!

Su queste rovine, su questa disfatta, risuona per ben tre volte l’annuncio inconsueto, proprio perché privo di straordinario, dell’evento cristiano: il bambino nella mangiatoia. L’evangelista ripete di continuo la narrazione di questo fatto, di questo accadimento che succede, capita, c’è, esiste, è carne e sangue, è storia in un tempo e in uno spazio; ha mani che lo toccano e lo sperimentano da vicino; ha occhi che lo contemplano, pieni di stupore e di domande; ha un seno che lo nutre e un cuore che lo custodisce; ha panni che lo avvolgono, lo stringono e lo condizionano; ha necessità e paure, sentimenti e pianto; ha una carne fragile e mortale che dice il rischio e la fatica, ma anche i baci e le carezze…

E’ la storia di Dio o, anche, la storia secondo Dio: storia concretissima, reale, tangibile, normale e per questo autentica. Non è straordinaria come l’imperatore; non è banale come chi si omologa; ma la sua bellezza si rivela proprio nell’ordinaria vicenda del tempo e dei luoghi più abituali, che sono i più veri perché costituiscono la realtà.

Quando Cristo è nato, non era un giorno speciale: quasi a dire che ogni giorno della vita è benedetto, perché Gesù vive i giorni di tutti noi e tutti li santifica, cioè li rende speciali (M. Delpini).

Solo questa consapevolezza, che cioè Dio è proprio qui nello scorrere dei giorni e degli eventi, ci permette di continuare ad essere persone che hanno ideali, che vivono di speranza, che non cedono al pessimismo, che non si arrendono alla cattiveria, che cercano e si interrogano, senza mai ridursi semplicemente ad… astuti animali! (K. Rahner).

Quaerere Deum: cercare Dio e niente di meno che questo. Ecco ciò che ci rende uomini per davvero, mostrando, almeno noi credenti, che le cose possono andare diversamente e che il diversamente… è meglio! Ecco cosa significa seminare speranza.

Se Dio è qui per davvero, carne e sangue (e non a caso noi cristiani celebriamo di continuo questa carne e questo sangue nell’Eucarestia!), tutto ha in Lui origine e scopo, tutto ha valore e significato. E chi dice diversamente ha forse un’offerta migliore???

E chi afferma che Dio non c’è e che niente ha senso, è cosa da dirsi così alla leggera e con sorriso sarcastico sul volto? O non è forse la più grande tristezza? (B. Pascal).

Molti pensano che ormai i cristiani sono finiti e che di Dio e del vangelo ci si può dimenticare tranquillamente. Verissimo! Ma siamo per questo più felici?

È certamente finita la cristianità, intesa come sistema di vita che permea dei propri valori anche la società civile, ma non è finito il cristianesimo!

Perché fino a quando rimarrà irrisolto l’enigma di chi sia l’uomo e quale sia lo scopo del suo esserci, sarà sempre possibile pensare l’impensabile e indagare l’insondabile; e poiché questo rimane un problema permanente, l’utopia ritrova la sua ragion d’essere: infatti, poiché la realtà è insufficiente, in quanto separata dal suo futuro di vita vera e di bene concreto, la ricerca (o meglio, l’accoglienza) di tale futuro e di tale bene ci conduce a sperare, cioè a riconoscere un fine, un orientamento, un’alternativa, una novità.

Ecco perché l’annuncio che un bambino è nato per noi non è una fiaba, ma il miracolo che preserva il mondo dalla sua fatalità: infatti ognuno che nasce è libero, imprevedibile e iniziatore di qualcosa di inedito, narratore di una storia che dice che se anche gli uomini devono morire, sono in realtà nati per incominciare (H.Arendt). E, forse, questo è il contagio che ci occorre!

don Mauro